Con questo breve contributo proviamo a chiarire come funziona in Italia la tassazione delle criptovalute (bitcoin, ethereum, etc. etc.) per coloro che le possiedono in qualità di privati al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo. Per comprendere bene la normativa ci viene in aiuto la risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate all’interpello 788/2021.
Innanzitutto, è da chiarire che ai fini fiscali le criptovalute sono considerate alla stessa stregua di moneta o valuta tradizionale.
In termini di imposte sui redditi, la tassazione avviene se si realizzano entrambe le seguenti condizioni:
- si realizzano plusvalenze a seguito della cessione a titolo oneroso di valute estere (articolo 67, comma 1, lettere c-ter). Viene considerata come cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute dal deposito o conto corrente, dunque anche il prelievo dai cosiddetti “wallet” e anche il mero scambio contestuale tra (cripto)valute diverse.
- nel periodo di imposta la giacenza media dei depositi, conti correnti o wallet delle criptovalute, calcolata in base al cambio vigente al 1° gennaio dell’anno interessato, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi
Per determinare a quanto ammonta la plusvalenza in caso di prelievi dal wallet (in caso ovviamente di superamento della giacenza media di cui sopra) si utilizza il costo di acquisto considerando cedute per prime le valute acquisite in data più recente (LIFO).
Sulla plusvalenza si applica l’imposta sostitutiva del 26%.
Infine, in quanto agli obblighi di indicazione delle criptovalute nel quadro RW della dichiarazione dei redditi, in quanto considerate come “attività estere di natura finanziaria e valute virtuali“, l’ammontare posseduto va sempre indicato.
Rimane escluso per le criptovalute, tuttavia, il pagamento dell’IVAFE (imposta sul valore delle attività finanziarie possedute all’estero).